MISERIA - POVERTA’ –
RICCHEZZA – LUSSO
ECONOMIA – TEOLOGIA
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CONDIVISIONE BIBLICA
Una lettrice scrive:
Un Dio povero accanto all’uomo
La ragione ultima della beatitudine della povertà, dal punto
di vista biblico neotestamentario, sta nel fatto che noi facciamo esperienza di
un Dio che si è rivelato nella storia come un Dio povero.
Il credente è
chiamato a vivere la povertà perché sa che Dio non si è manifestato nella
storia nel segno dell’onnipotenza, ma in quello dell’impotenza e della povertà;
e perché a questo Dio non va solo un’adesione formale, ma Egli diventa il
paradigma delle scelte e dei comportamenti del credente: la povertà quindi
trova la sua radice ultima nella povertà di Dio.
Lui non si manifesta nella storia come il dio del potere
politico; Dio non si presenta come colui
che attraverso la potenza spiega la realtà nella sua totalità, né come il dio
metafisico a cui i greci erano arrivati soprattutto attraverso la filosofia.
Dio si manifesta nel segno dell’impotenza, nello scandalo
della croce.
Oggi a noi pare che tutto lo sviluppo della tradizione
cristiana, a partire dai primi secoli fino ad oggi, collega strettamente la
povertà evangelica con tre finalità delle quali di volta in volta viene
accentuata l’una o l’altra.
La prima è la povertà per la sequela, cioè finalizzata
soprattutto all’essere discepoli, nel seguire un Maestro che è appunto il Dio
della kenosis, dello spogliamento radicale, quel Gesù che chiamava i suoi
discepoli a seguirlo dicendo: chi vuole seguirmi prenda la sua croce, perché
chi perde la propria vita la troverà.
Ma diceva anche: le volpi hanno la loro tana, gli uccelli il
nido, ma il Figlio dell’uomo non ha neppure un sasso dove posare il capo;
quindi la povertà è necessaria per imitare il Maestro.
Sequela che non è pura imitazione esteriore, ma condivisione
di tutta la vita, così come i discepoli al tempo di Gesù andavano dietro di lui
condividendone la vita.
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